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Assistenza sanitaria decentrata, gratuita e universale
Por Giorgio Trucchi | LINyM
Erano i primi mesi del 1991. Mi trovavo nuovamente in Nicaragua, questa volta per scrivere la mia tesi sulla riforma psichiatrica promossa dalla rivoluzione sandinista dopo il triunfo (1979). Daniel Ortega aveva perso le elezioni e da quasi un anno governava Violeta Barrios de Chamorro. I risultati erano già visibili.
Il Servizio sanitario nazionale, fondato negli anni 80 sul concetto di assistenza sanitaria gratuita, decentrata e universale, che coinvolgeva migliaia di promotori della salute per garantire i servizi essenziali in tutto il territorio nazionale, era stato velocemente smantellato dalla ventata neoliberista del “meno Stato, più mercato”.
Il nuovo governo, pieno di vecchi filibustieri fuggiti a Miami con la caduta di Somoza ed ex contrarrevolucionarios ritornati dopo la sconfitta sandinista, oltre a fare man bassa di aziende statali, privatizzare a destra e a manca, licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici e sospendere qualsiasi finanziamento a cooperative e organizzazioni contadine, si accanì in modo particolare contro sanità e istruzione pubblica. Chi ha un po’ di memoria non può non ricordare i roghi dei libri di testo che per anni erano stati usati per l’alfabetizzazione e l’insegnamento pubblico.
Nel giro di pochi mesi s’introdusse il concetto di “autonomia scolastica”, un termine apparentemente innocuo per descrivere l’inizio del processo di privatizzazione della scuola. A livello sanitario veniva velocemente definanziata l’assistenza pubblica, per offrirla poi su un piatto d’argento al settore privato.
Gli ospedali vennero abbandonati a loro stessi, cliniche e ambulatori chiusi un po’ ovunque, scomparvero anche i promotori della salute. Ci fu però una vera e propria esplosione delle farmacie come effetto della fine dell’embargo decretato dagli Stati Uniti. Peccato che la maggior parte della popolazione dovesse poi fare i salti mortali o indebitarsi fino al collo per comprare le medicine di cui aveva bisogno.
In un libro, mai pubblicato, che stavo scrivendo sull’esperienza fatta nel Messico pre-zapatista e in America Centrale agli inizi degli anni 90, ricordo un’intervista fatta a un medico chirurgo nicaraguense in cui raccontava il dramma di dovere operare tutti i giorni in condizioni inaccettabili. Gli si inumidivano gli occhi quando ricordava pazienti deceduti a causa della mancanza di strumenti chirurgici, cannule, ossigeno, anestesia e perfino del filo da sutura.
Ricordo anche quando, verso la fine degli anni 90, gli ospedali pubblici erano divisi in due parti ben definite: la parte pubblica, con ambienti fatiscenti, file interminabili e coi famigliari dei malati che uscivano disperati con in mano una ricetta, e correvano a impegnare un anello o da qualche amico o parente a chiedere un prestito per comprare ciò che il dottore aveva chiesto. Poi c’era la parte privata, dove gli stessi medici ti invitavano ad andare quando vedevano che eri una persona con “capacità economiche”. Lì non c’erano file, il personale sanitario era molto gentile e i medici avevano tutto l’occorrente per curarti. Bastava pagare e il gioco era fatto.
Covid-19 e prevenzione
A partire dal 2007, con la vittoria elettorale del Fronte sandinista, le cose sono cambiate. O meglio, si è ripreso il filo di un discorso bruscamente interrotto con le elezioni del 1990.
In un recente articolo[1], Stephen Sefton, curatore della pagina web Tortilla con Sal, ricorda come negli ultimi 13 anni il sistema sanitario nicaraguense abbia riabbracciato lo spirito e i valori di un tempo. Un modello di assistenza pubblica che ha come capisaldi la prevenzione, il decentramento, la gratuità e l’universalità. Inoltre, la fitta rete di ospedali, cliniche e ambulatori è supportata nuovamente da decine di migliaia di promotori della salute, che operano come volontari in tutto il territorio nazionale.
L’arrivo della pandemia di Covid-19 non ha quindi trovato il Nicaragua impreparato. Abituato a mantenersi in allerta preventiva per potere rispondere in modo adeguato agli effetti dei cambiamenti climatici, disastri naturali ed epidemie, non ultime quelle di dengue, chikungunya, zika e H1N1, solo per nominarne alcune, il governo del Nicaragua aveva già predisposto azioni per far fronte alla pandemia.
Fino ad ora i casi accertati di coronavirus sono sette, dei quali una persona è deceduta e due sono guarite. Una decina sono i casi in osservazione, per ora tutti negativi al tampone.
Il governo sandinista ha quindi scelto una strada diversa da quella della maggior parte dei paesi del mondo. Invece di decretare la quarantena, il distanziamento sociale, la chiusura delle frontiere, delle scuole e delle attività produttive “non essenziali” e proibire la partecipazione della popolazione ad eventi di massa, il Nicaragua, seguendo i protocolli pertinenti per le diverse fasi della pandemia, ha deciso di dare priorità a un’altra prevenzione, rafforzando i controlli alle frontiere e investendo su una struttura sanitaria decentrata e comunitaria, già solida e operante su tutto il territorio nazionale.
A questo proposito, il gionalista Jorge Capelán ha scritto recentemente[2] che dal 2007 ad oggi sono stati costruiti 18 ospedali e si prevede la costruzione di altri 13 nel breve e medio periodo, tra cui quelli regionali di Puerto Cabezas (Bilwi) in piena Mosquitia e di León nell’occidente del paese. Incontabili poi le cliniche e gli ambulatori costruiti o riammodernati in questi anni in tutto il Nicaragua.
In questi giorni, più di 250 mila promotori della salute vanno di casa in casa per spiegare alla gente quali siano le misure preventive da adottare contro il coronavirus, come riconoscere i primi sintomi e come avvisare immediatamente le strutture decentrate per l’eventuale ricovero. In meno di un mese sono già state visitate quasi 1,3 milioni di famiglie, cioè più di 6 milioni di persone. Inoltre, chiunque entri in Nicaragua proveniente da paesi in cui si è diffuso il virus del Covid-19 viene inviato a una auto quarantena vigilata.
Per il momento le autorità hanno predisposto 19 ospedali e quasi 40 mila operatori sanitari sono stati formati su come affrontare il virus, sull'identificazione di casi sospetti, sulle misure di protezione, sull’applicazione di cure mediche e sul trasferimento sicuro dei pazienti. Poche notizie si hanno invece sulla quantità di tamponi fatti e sugli autorespiratori a disposizione nel paese.
Pochi giorni fa, il Banco centroamericano d’integrazione economica (Bcie) ha consegnato alle autorità sanitarie 26mila test veloci Covid-19, una donazione che permetterà di rafforzare ulteriormente l’apparato preventivo. Il Nicaragua inoltre possiede l'unico impianto pubblico in America Centrale che produce vaccini. Si tratta di una joint-venture tra il governo del Nicaragua e la Federazione Russa, dove si produrrà il farmaco antivirale cubano Interferone Alfa-2-B per il trattamento di pazienti con Coronavirus.
A livello internazionale, infine, il Nicaragua si è coordinato con i meccanismi del Sistema d’integrazione centroamericano (SICA) e con i governi che ne fanno parte. Soprattutto con i confinanti Honduras e Costa Rica si è sviluppata una comunicazione costante e si stanno coordinando azioni di controllo delle frontiere.
Un modello diverso
Lo scorso 7 aprile, le misure adottate dal Nicaragua sono state considerate “inadeguate” dalla direttrice dell’Organizzazione panamericana della salute (Ops). Carissa Etienne si è detta preoccupata per “la mancanza di isolamento e di distanziamento sociale, la convocazione a manifestazioni pubbliche, la tracciabilità dei contatti e la notificazione dei casi”. Una reazione sicuramente da non sottovalutare, anche se il governo nicaraguense ha per il momento dalla sua la cifra più bassa di contagiati tra tutti i paesi dell’America Centrale.
Secondo il biologo cellulare ed ex rappresentante della Ops in Venezuela e Antille Olandesi, Jorge J. Jenkins Molieri, i pochi casi registrati fino a ora in Nicaragua sarebbero dovuti a vari fattori, come ad esempio le insufficienti prove di laboratorio, l’individuazione per il momento di casi lievi, lo scarso afflusso dopo la crisi del 2018 di turisti provenienti dalle regioni maggiormente contagiate come Europa e Stati Uniti. Azzarda anche ipotesi legate al fatto che la popolazione è molto giovane - settore che resiste meglio al contagio di Covid19 - e che gli ultrasessantenni rappresentano solo il 5% della popolazione, che la densità di popolazione è la più bassa di tutta l’America Centrale e la popolazione rurale è il 40% del totale, e che il fattore climatico (si è in estate e con temperature molto alte) stia frenando l’espansione del virus.
Difficile quindi dire ora cosa succederà. Nessuno può escludere - nemmeno il governo lo fa - che in futuro si entri in nuova fase del contagio e che siano necessarie misure molto più restrittive, come consigliano i protocolli della Ops/Oms. Certo è che in mezzo a tante incertezze sarebbe sempre auspicabile fare prevalere il principio di precauzione.
Sta di fatto che il Nicaragua decidendo di imboccare una strada diversa non ha voluto sottovalutare la portata del pericolo, ma ha dovuto e voluto (altri paesi non l’hanno fatto) affrontare l’emergenza senza abbandonare al loro destino tutte quelle persone e famiglie - e sono tante - che sono il pilastro dell’economia nicaraguense. Le micro, piccole e medie imprese rappresentano circa l’87% del tessuto aziendale nazionale e creano più del 70% dei posti di lavoro. Sono circa 300 mila e operano in vari settori, in particolare quello agricolo. Il 58% di queste aziende sono condotte da donne (fonte Conimipyme). Contribuiscono per quasi il 70% al Pil e rappresentano il 60% delle esportazioni. Se a questo aggiungiamo le migliaia di persone che ancora vivono di lavori informali e precari, è facile capire allora il perchè della scelta del governo nicaraguense di cercare una strada alternativa a quella del lockdown.
Opposizione e sciacallaggio
A chi invece non interessa capire è l’opposizione politica e sociale, ampiamente sostenuta e foraggiata dal gran capitale nazionale, dalla gerarchia cattolica, dall’amministrazione statunitense e dai governi satellite di Washington.
Come già avvenuto durante il tentativo fallito di colpo di stato del 2018, l’opposizione ha lanciato una implacabile campagna di disinformazione su media affini e social. Una valanga di fake news riprese e poi divulgate dalle principali agenzie internazionali, con l’obiettivo di creare timore nella popolazione attraverso discorsi catastrofici, accusando il governo d’irresponsabilità, incapacità e faciloneria, per poi capitalizzare politicamente il malcontento.
Non dimentichiamo che il Nicaragua si trova in un anno preelettorale. Vedendo quanto accaduto lo scorso anno in Bolivia, l’uso sempre più scellerato del lawfare e le manipolazioni di organismi multilaterali come l’Osa (Organizzazione degli stati americani) contro governi e dirigenti che non si piegano agli interessi di Washington, è evidente che il governo sandinista sia preoccupato.
L’informazione spazzatura è servita per fare circolare false testimonianze di falsi contagiati sull’esistenza di centinaia di casi di coronavirus presuntamente nascosti dal governo. Accuse mai provate, che calano però in settori della popolazione nicaraguense, nonostante siano sistematicamente smentite dai dati ufficiali. Durante le ultime tre settimane si evidenzia infatti una diminuzione delle infezioni respiratorie acute (meno 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), delle polmoniti (meno 10%) e della mortalità dovuta a queste stesse malattie (meno 35%), che è passata dai 107 decessi dello scorso anno ai 70 di oggi.
Il Servizio sanitario nazionale, fondato negli anni 80 sul concetto di assistenza sanitaria gratuita, decentrata e universale, che coinvolgeva migliaia di promotori della salute per garantire i servizi essenziali in tutto il territorio nazionale, era stato velocemente smantellato dalla ventata neoliberista del “meno Stato, più mercato”.
Il nuovo governo, pieno di vecchi filibustieri fuggiti a Miami con la caduta di Somoza ed ex contrarrevolucionarios ritornati dopo la sconfitta sandinista, oltre a fare man bassa di aziende statali, privatizzare a destra e a manca, licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici e sospendere qualsiasi finanziamento a cooperative e organizzazioni contadine, si accanì in modo particolare contro sanità e istruzione pubblica. Chi ha un po’ di memoria non può non ricordare i roghi dei libri di testo che per anni erano stati usati per l’alfabetizzazione e l’insegnamento pubblico.
Nel giro di pochi mesi s’introdusse il concetto di “autonomia scolastica”, un termine apparentemente innocuo per descrivere l’inizio del processo di privatizzazione della scuola. A livello sanitario veniva velocemente definanziata l’assistenza pubblica, per offrirla poi su un piatto d’argento al settore privato.
Gli ospedali vennero abbandonati a loro stessi, cliniche e ambulatori chiusi un po’ ovunque, scomparvero anche i promotori della salute. Ci fu però una vera e propria esplosione delle farmacie come effetto della fine dell’embargo decretato dagli Stati Uniti. Peccato che la maggior parte della popolazione dovesse poi fare i salti mortali o indebitarsi fino al collo per comprare le medicine di cui aveva bisogno.
In un libro, mai pubblicato, che stavo scrivendo sull’esperienza fatta nel Messico pre-zapatista e in America Centrale agli inizi degli anni 90, ricordo un’intervista fatta a un medico chirurgo nicaraguense in cui raccontava il dramma di dovere operare tutti i giorni in condizioni inaccettabili. Gli si inumidivano gli occhi quando ricordava pazienti deceduti a causa della mancanza di strumenti chirurgici, cannule, ossigeno, anestesia e perfino del filo da sutura.
Ricordo anche quando, verso la fine degli anni 90, gli ospedali pubblici erano divisi in due parti ben definite: la parte pubblica, con ambienti fatiscenti, file interminabili e coi famigliari dei malati che uscivano disperati con in mano una ricetta, e correvano a impegnare un anello o da qualche amico o parente a chiedere un prestito per comprare ciò che il dottore aveva chiesto. Poi c’era la parte privata, dove gli stessi medici ti invitavano ad andare quando vedevano che eri una persona con “capacità economiche”. Lì non c’erano file, il personale sanitario era molto gentile e i medici avevano tutto l’occorrente per curarti. Bastava pagare e il gioco era fatto.
Covid-19 e prevenzione
A partire dal 2007, con la vittoria elettorale del Fronte sandinista, le cose sono cambiate. O meglio, si è ripreso il filo di un discorso bruscamente interrotto con le elezioni del 1990.
In un recente articolo[1], Stephen Sefton, curatore della pagina web Tortilla con Sal, ricorda come negli ultimi 13 anni il sistema sanitario nicaraguense abbia riabbracciato lo spirito e i valori di un tempo. Un modello di assistenza pubblica che ha come capisaldi la prevenzione, il decentramento, la gratuità e l’universalità. Inoltre, la fitta rete di ospedali, cliniche e ambulatori è supportata nuovamente da decine di migliaia di promotori della salute, che operano come volontari in tutto il territorio nazionale.
L’arrivo della pandemia di Covid-19 non ha quindi trovato il Nicaragua impreparato. Abituato a mantenersi in allerta preventiva per potere rispondere in modo adeguato agli effetti dei cambiamenti climatici, disastri naturali ed epidemie, non ultime quelle di dengue, chikungunya, zika e H1N1, solo per nominarne alcune, il governo del Nicaragua aveva già predisposto azioni per far fronte alla pandemia.
Fino ad ora i casi accertati di coronavirus sono sette, dei quali una persona è deceduta e due sono guarite. Una decina sono i casi in osservazione, per ora tutti negativi al tampone.
Il governo sandinista ha quindi scelto una strada diversa da quella della maggior parte dei paesi del mondo. Invece di decretare la quarantena, il distanziamento sociale, la chiusura delle frontiere, delle scuole e delle attività produttive “non essenziali” e proibire la partecipazione della popolazione ad eventi di massa, il Nicaragua, seguendo i protocolli pertinenti per le diverse fasi della pandemia, ha deciso di dare priorità a un’altra prevenzione, rafforzando i controlli alle frontiere e investendo su una struttura sanitaria decentrata e comunitaria, già solida e operante su tutto il territorio nazionale.
A questo proposito, il gionalista Jorge Capelán ha scritto recentemente[2] che dal 2007 ad oggi sono stati costruiti 18 ospedali e si prevede la costruzione di altri 13 nel breve e medio periodo, tra cui quelli regionali di Puerto Cabezas (Bilwi) in piena Mosquitia e di León nell’occidente del paese. Incontabili poi le cliniche e gli ambulatori costruiti o riammodernati in questi anni in tutto il Nicaragua.
In questi giorni, più di 250 mila promotori della salute vanno di casa in casa per spiegare alla gente quali siano le misure preventive da adottare contro il coronavirus, come riconoscere i primi sintomi e come avvisare immediatamente le strutture decentrate per l’eventuale ricovero. In meno di un mese sono già state visitate quasi 1,3 milioni di famiglie, cioè più di 6 milioni di persone. Inoltre, chiunque entri in Nicaragua proveniente da paesi in cui si è diffuso il virus del Covid-19 viene inviato a una auto quarantena vigilata.
Per il momento le autorità hanno predisposto 19 ospedali e quasi 40 mila operatori sanitari sono stati formati su come affrontare il virus, sull'identificazione di casi sospetti, sulle misure di protezione, sull’applicazione di cure mediche e sul trasferimento sicuro dei pazienti. Poche notizie si hanno invece sulla quantità di tamponi fatti e sugli autorespiratori a disposizione nel paese.
Pochi giorni fa, il Banco centroamericano d’integrazione economica (Bcie) ha consegnato alle autorità sanitarie 26mila test veloci Covid-19, una donazione che permetterà di rafforzare ulteriormente l’apparato preventivo. Il Nicaragua inoltre possiede l'unico impianto pubblico in America Centrale che produce vaccini. Si tratta di una joint-venture tra il governo del Nicaragua e la Federazione Russa, dove si produrrà il farmaco antivirale cubano Interferone Alfa-2-B per il trattamento di pazienti con Coronavirus.
A livello internazionale, infine, il Nicaragua si è coordinato con i meccanismi del Sistema d’integrazione centroamericano (SICA) e con i governi che ne fanno parte. Soprattutto con i confinanti Honduras e Costa Rica si è sviluppata una comunicazione costante e si stanno coordinando azioni di controllo delle frontiere.
Un modello diverso
Lo scorso 7 aprile, le misure adottate dal Nicaragua sono state considerate “inadeguate” dalla direttrice dell’Organizzazione panamericana della salute (Ops). Carissa Etienne si è detta preoccupata per “la mancanza di isolamento e di distanziamento sociale, la convocazione a manifestazioni pubbliche, la tracciabilità dei contatti e la notificazione dei casi”. Una reazione sicuramente da non sottovalutare, anche se il governo nicaraguense ha per il momento dalla sua la cifra più bassa di contagiati tra tutti i paesi dell’America Centrale.
Secondo il biologo cellulare ed ex rappresentante della Ops in Venezuela e Antille Olandesi, Jorge J. Jenkins Molieri, i pochi casi registrati fino a ora in Nicaragua sarebbero dovuti a vari fattori, come ad esempio le insufficienti prove di laboratorio, l’individuazione per il momento di casi lievi, lo scarso afflusso dopo la crisi del 2018 di turisti provenienti dalle regioni maggiormente contagiate come Europa e Stati Uniti. Azzarda anche ipotesi legate al fatto che la popolazione è molto giovane - settore che resiste meglio al contagio di Covid19 - e che gli ultrasessantenni rappresentano solo il 5% della popolazione, che la densità di popolazione è la più bassa di tutta l’America Centrale e la popolazione rurale è il 40% del totale, e che il fattore climatico (si è in estate e con temperature molto alte) stia frenando l’espansione del virus.
Difficile quindi dire ora cosa succederà. Nessuno può escludere - nemmeno il governo lo fa - che in futuro si entri in nuova fase del contagio e che siano necessarie misure molto più restrittive, come consigliano i protocolli della Ops/Oms. Certo è che in mezzo a tante incertezze sarebbe sempre auspicabile fare prevalere il principio di precauzione.
Sta di fatto che il Nicaragua decidendo di imboccare una strada diversa non ha voluto sottovalutare la portata del pericolo, ma ha dovuto e voluto (altri paesi non l’hanno fatto) affrontare l’emergenza senza abbandonare al loro destino tutte quelle persone e famiglie - e sono tante - che sono il pilastro dell’economia nicaraguense. Le micro, piccole e medie imprese rappresentano circa l’87% del tessuto aziendale nazionale e creano più del 70% dei posti di lavoro. Sono circa 300 mila e operano in vari settori, in particolare quello agricolo. Il 58% di queste aziende sono condotte da donne (fonte Conimipyme). Contribuiscono per quasi il 70% al Pil e rappresentano il 60% delle esportazioni. Se a questo aggiungiamo le migliaia di persone che ancora vivono di lavori informali e precari, è facile capire allora il perchè della scelta del governo nicaraguense di cercare una strada alternativa a quella del lockdown.
Opposizione e sciacallaggio
A chi invece non interessa capire è l’opposizione politica e sociale, ampiamente sostenuta e foraggiata dal gran capitale nazionale, dalla gerarchia cattolica, dall’amministrazione statunitense e dai governi satellite di Washington.
Come già avvenuto durante il tentativo fallito di colpo di stato del 2018, l’opposizione ha lanciato una implacabile campagna di disinformazione su media affini e social. Una valanga di fake news riprese e poi divulgate dalle principali agenzie internazionali, con l’obiettivo di creare timore nella popolazione attraverso discorsi catastrofici, accusando il governo d’irresponsabilità, incapacità e faciloneria, per poi capitalizzare politicamente il malcontento.
Non dimentichiamo che il Nicaragua si trova in un anno preelettorale. Vedendo quanto accaduto lo scorso anno in Bolivia, l’uso sempre più scellerato del lawfare e le manipolazioni di organismi multilaterali come l’Osa (Organizzazione degli stati americani) contro governi e dirigenti che non si piegano agli interessi di Washington, è evidente che il governo sandinista sia preoccupato.
L’informazione spazzatura è servita per fare circolare false testimonianze di falsi contagiati sull’esistenza di centinaia di casi di coronavirus presuntamente nascosti dal governo. Accuse mai provate, che calano però in settori della popolazione nicaraguense, nonostante siano sistematicamente smentite dai dati ufficiali. Durante le ultime tre settimane si evidenzia infatti una diminuzione delle infezioni respiratorie acute (meno 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), delle polmoniti (meno 10%) e della mortalità dovuta a queste stesse malattie (meno 35%), che è passata dai 107 decessi dello scorso anno ai 70 di oggi.
La teoria cospirativa, che tanto piace alle opposizioni, non regge nemmeno all’impatto con ospedali, cliniche ed ambulatori, dove si registra un numero normale di visite, di accessi ai pronto soccorso, nonché di ingressi in terapia intensiva.
Principali ispiratori dello sciacallaggio mediatico sono poi - e questa è forse la cosa più vergognosa - quelle stesse persone, partiti, organizzazioni e movimenti responsabili dello smantellamento dello stato sociale negli anni 90. Quelle stesse persone che hanno privatizzato la sanità e distrutto il sistema sanitario nazionale e che ora si ergono a paladini della buona sanità e dei diritti dei cittadini.
Ci sono poi i loro alleati politici, mossi da odi profondi contro l'attuale dirigenza sandinista, insignificanti politicamente e con una quasi inesistente capacità di convocatoria e di mobilitazione popolare. Sono i settori più radicali del fallito golpe, quelli dei tranques de la muerte dove sono stati torturati e assassinati cittadini. Sono anche i media di loro riferimento, che fanno della menzogna la loro principale arma politica e sociale. Tutti continuano a godere di sostegno internazionale e di sostanziosi finanziamenti di agenzie statunitensi ed europee.
Falsità a parte, le prossime settimane saranno fondamentali per capire l’evoluzione che avrà il contagio e la capacità del governo nicaraguense per affrontarlo.
Note
[1] http://www.tortillaconsal.com/tortilla/node/8955
[2] https://managuaconamor.blogspot.com/2020/04/nicaragua-y-la-covid-19-el-secreto.html
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