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Por Giorgio Trucchi | LINyM
Un mondo capovolto, al rovescio o “patas arriba”, come direbbe Eduardo Galeano, quello promosso con vigore durante la Conferenza mondiale dei popoli, che si è svolta i giorni 20 e 21 giugno a Tiquipaya, nel centro dello Stato Plurinazionale della Bolivia, e che aveva come titolo “per un mondo senza muri e verso la cittadinanza universale”.
- Leggi la Dichiarazione finale della Conferenza
“Nessun essere umano è illegale ed emigrare è un diritto” hanno ripetuto più volte gli oltre 4 mila delegati e attivisti sociali provenienti da 45 nazioni di 4 continenti.
Così come hanno messo nero su bianco la necessità di creare un nuovo ordine mondiale che implichi “la eradicazione della guerra attraverso la soppressione dell’architettura finanziaria mondiale e le disuguaglianze tra esseri umani”, che preveda, logicamente, l’assenza totale di “organismi finanziari multilaterali al servizio del capitale multinazionale”.
Tutto ciò permetterebbe, secondo delegati e delegate, di consolidare la proprietà sociale dei beni comuni, privilegiando una nuova forma di interazione, convivenza armonica e rispetto dei diritti tra esseri umani, Stato e Madre Terra.
Durante le due giornate di attività, alle quali hanno partecipato gli ex presidenti dell’Ecuador, Rafael Correa, della Colombia, Ernesto Samper e del governo spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, si è reso omaggio ai rifugiati di tutto il mondo che hanno perso la vita nell’intento di scappare da guerre, fame, disastri naturali.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, sarebbero oltre 65 milioni le persone che in tutto il mondo sono state costrette a fuggire dal proprio Paese. Circa 34 mila ogni giorno.
“I muri portano alla decadenza” Morales
Particolarmente intenso il discorso del presidente boliviano e anfitrione dell’evento Evo Morales, il quale ha detto che quelli che scatenano guerre, affamano i popoli e provocano le ondate migratorie sono poi gli stessi che costruiscono i muri e che respingono e criminalizzano le popolazioni in fuga.
Per Morales esiste un’unica alternativa possibile ai muri: la costruzione di una società universale plurinazionale.
“I muri tra i popoli sono un attentato contro l’umanità. I muri non proteggono, creano conflitto. I muri non uniscono, dividono. I muri non creano libertà, tolgono l’aria. I muri non creano uguaglianza, ma discriminazione. I muri fanno crescere la paura, incentivano lo scontro e il razzismo.
I muri tra i popoli -ha continuato- vanno contro la storia dell’umanità, mutilano la scienza e la conoscenza, rinchiudono l’anima, scatenano l’odio verso il diverso, asfissiano la libertà. Nessun Paese al mondo ha tratto beneficio dalla costruzione di muri, bensì ha prolungato e accelerato la sua decadenza”, ha detto Morales.
Ha poi ricordato ai presenti che l’essere umano, le sue conoscenze scientifiche, l’etica, i valori fondamentali di qualsiasi società si sono alimentati della libera circolazione di idee e persone.
“L’essere umano è per natura un soggetto migrante. Le società, le nazioni si sono costruite sulla mescolanza creativa delle persone migranti. Così come non esistono muri per la pioggia, per il bene, per le parole, non possono nemmeno esistere muri per le persone e le famiglie del mondo”, ha aggiunto il presidente boliviano.
Duro l’attacco della Conferenza al presidente statunitense Donald Trump, sia per la sua scelta di abbandonare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che per le sue politiche anti-immigrati e per il tentativo d’interrare lo storico avvicinamento avvenuto tra Stati Uniti e Cuba durante il governo Obama.
Allo stesso modo è stata attaccata la costruzione di muri in Europa e in Israele.
Molte le dichiarazioni di solidarietà con il popolo venezuelano e contro la campagna (politica, economica e mediatica) di ingerenza lanciata a livello internazionale per abbattere il governo democraticamente eletto di Nicolás Maduro. Altrettanti gli inviti a cercare una soluzione negoziata del conflitto, un dialogo che l’opposizione ha finora rifiutato preferendo la destabilizzazione sociale ed economica e la violenza.
Il decalogo della Conferenza
Una delle principali richieste della Conferenza è stata quella di un nuovo parametro politico di equità e cioè la costruzione di una vera pace, che non significa solamente l’assenza di guerra, ma anche il superamento della violenza strutturale attraverso l’accesso equitativo alla distribuzione della ricchezza e alle opportunità di sviluppo.
“Abbiamo verificato come principali cause di questa crisi i conflitti bellici e gli interventi militari, il cambiamento climatico e le enormi asimmetrie economiche tra Stati e al loro interno”, si legge nella Dichiarazione finale della Conferenza dei Popoli.
In questo senso, anche la crisi migratoria che sta investendo il mondo è il frutto “dell’ampliamento del divario tra ricchi e poveri e dell’insaziabile voracità della globalizzazione neoliberista in crisi che saccheggia le ricchezze naturali”.
La Conferenza ha quindi riaffermato il diritto alla libera circolazione delle persone e ha chiesto con forza “la distruzione dei muri fisici che separano i popoli: muri invisibili e legali che perseguitano e criminalizzano, muri mentali che usano la paura, la discriminazione, la xenofobia per dividere. Ma anche i muri mediatici che stigmatizzano le persone migranti”.
Abbattere perciò i muri che dividono “per costruire una cittadinanza universale che consacri il diritto di tutti ad avere e godere degli stessi diritti”.
Nel Decalogo di proposte si è poi chiesto alle nazioni di rifiutare la “criminalizzazione della migrazione” che molto spesso si occulta dietro “falsi interessi di sicurezza e controllo”, così come l’eliminazione dei centri di detenzione delle persone migranti.
Si sono anche anche invitati i governi degli Stati coinvolti nelle problematiche migratorie a “lottare insieme contro le reti criminali che trafficano con esseri umani” -dichiarando la tratta e il traffico di persone como crimini di lesa umanità- e a rafforzare il sistema multilaterale e gli strumenti internazionali esistenti che si occupano di immigrati, rifugiati e delle loro famiglie.
Al governo boliviano è stato infine chiesto di creare una segreteria di coordinamento per seguire il compimento delle risoluzioni
(Con informazioni della Agencia Boliviana de Información ABI)
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